Oggi è Venerdì, 29 Mar 2024
Sei nella sezione :     Home
Lumen Fidei Enciclica - Prima Enciclica di Papa Francesco‎ PDF Stampa E-mail
Scritto da CM   

Share

Lumen Fidei Enciclica - Prima Enciclica di Papa Francesco‎

Testo dell'enciclicahttp://www.linkiesta.it/sites/default/files/uploads/inline-files/38215/enciclica-lumen-fidei.pdf )

(interventi pronunciati presso la sala stampa vaticana)

INTERVENTO DEL CARD. MARC. OUELLET, P.S.S

Alla trilogia di Benedetto XVI sulle virtù teologali mancava un pilastro. La  Provvidenza ha voluto che il pilastro mancante fosse un dono del Papa emerito al  suo successore e nello stesso tempo un simbolo d’unità, poiché assumendo e  portando a compimento l’opera intrapresa dal suo predecessore, Papa Francesco  rende testimonianza con lui dell’unità della fede. La luce della fede è  così consegnata dall’uno all’altro pontefice, come nelle corse allo stadio,  grazie «al dono della successione apostolica» mediante la quale «è  assicurata la continuità della memoria della Chiesa» come pure la «certezza  di attingere alla sorgente pura dalla quale scaturisce la fede» (49).

Noi proviamo dunque una gioia particolare nel ricevere l’Enciclica Lumen  Fidei, la cui modalità condivisa di trasmissione illustra in maniera  straordinaria l’aspetto più fondamentale e originale da essa sviluppato, la  dimensione della comunione nella fede. Questa enciclica parla in realtà  esprimendosi in un "noi" che non è maiestatis ma bensì di  comunione. Essa parla della fede come d’una esperienza di comunione, di  dilatazione dell’io e di solidarietà nel cammino della Chiesa con Cristo per  la salvezza dell’umanità. Io mi limiterò a illustrare questo punto di vista.

L’Enciclica presenta veramente la fede cristiana come una luce proveniente  dall’ascolto della Parola di Dio nella storia. Una luce che mostra l’amore  di Dio all’opera per stringere un’alleanza con l’umanità. Questa luce  già si lascia percepire nelle opere del Creatore ma risplende come amore nella  vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo. In Lui, la luce dell’Amore  irrompe nella storia e offre agli uomini una speranza che infonde il coraggio di  camminare insieme verso un avvenire di piena comunione. «Cristo è colui che,  avendo sopportato la sofferenza, "dà origine alla fede e la porta a  compimento"», ci dice la Lettera agli Ebrei, ampiamente ripresa dall’Enciclica  (Eb 12,2) (57).

Oggettivamente, la luce della fede orienta il senso della vita, porta  conforto e consolazione ai cuori inquieti e abbattuti, ma impegna anche i  credenti a porsi a servizio del bene comune dell’umanità attraverso l’annuncio  e l’autentica condivisione della grazia ricevuta da Dio. Ecco dunque che la  fede chiama i credenti ad abbracciare la sofferenza del mondo, come San  Francesco e la Beata Madre Teresa, al fine di spargere in esso la luce di  Cristo. «La fede non è una luce tale da dissolvere tutte le nostre tenebre, ma  la lampada che guida i nostri passi nella notte, e ciò è quanto basta per il  cammino», afferma l’Enciclica (57).

Soggettivamente, la fede è un’apertura all’Amore di Cristo, un  accogliere, l’entrare in una relazione che allarga l’"io" alle  dimensioni di un "noi" che non è soltanto umano, nella Chiesa, ma che  è propriamente divino, e cioè una partecipazione autentica al "Noi"  del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. L’Enciclica insiste su questo  fondamento trinitario che costituisce la fede come realtà a un tempo personale  ed ecclesiale: «Questa apertura al "noi" ecclesiale si verifica come  l’apertura stessa dell’amore di Dio, che non è soltanto relazione tra Padre  e Figlio, tra "me" e "te", ma che è anche nello Spirito un  "noi", una comunione tra persone» (39).

In questa luce cristologica, trinitaria ed ecclesiale, la confessione della  fede acquista la sua espressione concreta con la celebrazione dei sacramenti del  battesimo, della confermazione e dell’Eucaristia, in cui «il credente afferma  che il centro dell’essere, il segreto più profondo d’ogni cosa, è la  comunione divina» (45). Egli si trova allora «coinvolto nella verità da lui  confessata» e per questo stesso fatto trasformato e «introdotto in una storia  d’amore che lo afferra, che dilata il suo essere rendendolo membro d’una  grande comunione», la Chiesa (45).

A partire da questo "Noi" trinitario che si prolunga nel  "noi" ecclesiale, l’Enciclica si riallaccia in modo del tutto  naturale al "noi" della famiglia che è il luogo per eccellenza di  trasmissione della fede (43). Da un lato, ciò è ben chiaro nell’esperienza  del battesimo dei bambini dove i genitori, il padrino e la madrina confessano la  fede in nome del piccolo, accogliendolo così nella fede della Chiesa che sempre  ci precede. Da un altro lato – ricorda l’Enciclica – sussistono profonde  affinità tra la fede e l’amore senza fine che si promettono l’uomo e la  donna che si uniscono in matrimonio. «Promettere un amore che sia per sempre è  possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri stessi progetti,  che ci sostiene e ci permette di far dono alla persona amata dell’avvenire  tutto intero» (52).

Così, grazie alla fede, l’amore degli sposi ha più  garanzia di durare e di unire le generazioni nella gioia della fedeltà e del  servizio della vita. «La fede non è un rifugio per coloro che sono privi di  coraggio, ma un’espansione della vita», conclude l’Enciclica, che vede la  famiglia come «il primo ambito in cui la fede rischiara la città degli  uomini» (52).L’Enciclica aggiunge un considerevole sviluppo riguardo la pertinenza della  fede per la vita sociale, per l’edificazione della città nella giustizia e  nella pace, grazie al rispetto d’ogni persona e della sua libertà, grazie  alle risorse di compassione e di riconciliazione da lei offerte per il conforto  delle sofferenze e la composizione dei conflitti. «Sì, la fede è un bene per  tutti, è un bene comune» (51). La tendenza a confinare la fede nella sfera  della vita privata si trova qui confutata in toni pacati, ma in maniera  decisiva.

Molti aspetti in precedenza sviluppati dalle encicliche sulla carità e la  speranza trovano il loro complemento in questa messa in luce della fede come  comunione e servizio del bene comune. «Le mani della fede s’innalzano verso  il cielo ma nello stesso tempo, nella carità, esse edificano una città, sulla  base di rapporti che hanno a fondamento l’amore di Dio» (51). «Se togliamo  la fede dalle nostre città, si indebolirà la confidenza tra di noi» (55). In  breve, mediante la fede Dio vuole «rendere solide le relazioni tra gli uomini»  (ib.), Egli spera che si realizzi la «grandezza della vita in comune ch’egli  rende possibile» con la grazia della sua presenza (55).

In chiusura, l’Enciclica contempla Maria, la figura per eccellenza della  fede, colei che ha ascoltato la Parola e l’ha conservata nel suo cuore, colei  che ha seguito Gesù e che si è lasciata trasformare «entrando nello sguardo  del Figlio di Dio incarnato» (58). Papa Francesco riafferma al termine con il  suo predecessore una verità della fede messa in disparte e a volte in certi  ambienti persino posta in dubbio: «Nella concezione verginale di Maria abbiamo  un chiaro segno della filiazione divina di Cristo. L’origine eterna di Cristo  è nel Padre, egli è il Figlio in un senso totale e unico; e per questo egli  nasce nel tempo senza l’intervento di un uomo» (59).

Accogliamo dunque con grande gioia e gratitudine questa confessione di fede  integrale sotto forma di catechesi a quattro mani dei successori di Pietro. Essi  espongono insieme la fede della Chiesa nella sua bellezza che «si confessa dall’interno  del corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti» (22).

INTERVENTO DI S.E. MONS. GERHARD L. MÜLLER

Nelle meditazioni che offre quotidianamente attraverso la sua predicazione,  il Santo Padre Francesco spesso ci richiama che "tutto è grazia".  Tale affermazione che, di fronte alla complessità e alle contraddizioni della  vita, può sembrare a qualcuno ingenua o astratta, è invece un invito a  riconoscere la positività ultima della realtà.

Proprio a questo ci vuole richiamare anche la Lettera enciclica Lumen  fidei: la luce che proviene dalla fede, dalla Rivelazione che Dio fa di sé  in Gesù Cristo e nel suo Spirito, illumina le profondità della realtà e ci  aiuta a riconoscere che essa porta inscritti in sé i segni indelebili della  iniziativa buona di Dio. La fede infatti, grazie alla luce che viene da Dio, è  in grado di illuminare "tutto il percorso della strada" (n. 1), "tutta l'esistenza dell'uomo" (n. 4). Essa "non ci separa dalla realtà ma ci  permette di cogliere il suo significato più profondo, di scoprire quanto Dio  ama questo mondo e lo orienta incessantemente verso di sé" (n. 18).

È questo il messaggio centrale della Lettera enciclica, che riprende alcuni  temi cari a Benedetto XVI. "Queste considerazioni sulla fede - così scrive  Papa Francesco - intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle  Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi  completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono  profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso  lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi" (n. 7).

Si tratta di una circostanza fortunata che questo testo sia stato scritto,  per così dire, con la mano di due Pontefici. Chi la legge può subito notare  – al di là delle differenze di stile, di sensibilità e di accenti - la  sostanziale continuità del messaggio di Papa Francesco con il magistero di  Benedetto XVI.

All'origine di tutto c'è Dio e la fede in Lui è riconoscere questo fatto.  Ciò dilata la ragione e il cuore dell'uomo, allarga i suoi orizzonti, lo rende  sempre più vicino agli altri uomini e gli spalanca le porte di un'esistenza  vissuta finalmente all'altezza della sua dignità. Sì, dobbiamo riconoscerlo:  tutte le volte che non pensiamo, non agiamo, non amiamo rendendo operante la  fede in Dio, non contribuiamo ad edificare un mondo più umano. Anzi, così  facendo, spesso generiamo una contro-testimonianza a Dio e sfiguriamo il volto  della stessa Chiesa.

Nella fede viva in Dio, a cui ci introduce il suo Figlio Unigenito Gesù  Cristo mediante il suo Spirito, sta la nostra grande risorsa. A partire da qui,  sta o cade ogni tentativo di riforma e non soltanto nella Chiesa, poiché a  questo livello è in gioco un dono che la Chiesa non può tenere solo per sé.  La fede, e la vita di grazia che essa ci offre, è infatti un tesoro di bene e  di verità che riguarda tutti gli uomini, poiché tutti sono chiamati a vivere  in amicizia con Dio e a scoprire gli orizzonti di libertà che si schiudono a  chi si lascia prendere per mano da Lui.

La fede in quel Dio che ci rivela Gesù Cristo è la vera "roccia"  su cui l'uomo è chiamato ad edificare la sua vita e quella del mondo. Si tratta  di un dono che non può essere mai presupposto "come un fatto  scontato" ma che deve essere continuamente "nutrito e rafforzato"  (n. 6). Grazie alla fede possiamo riconoscere che ogni giorno ci viene offerto  un "grande Amore", un amore che "ci trasforma, illumina il  cammino del futuro e fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo  con gioia" (n. 7). Grazie alla fede possiamo guardare con realismo al  futuro che ci attende e nutrire una fiducia affidabile, senza lasciarci  "rubare la speranza", come ripete in continuazione Papa Francesco.  Fede, speranza e amore, "in un mirabile intreccio" costituiscono il  dinamismo della vita dell'uomo che si apre ai doni provenienti da Dio (cf. n.  7).

Tutto ciò l'Enciclica Lumen fidei afferma dividendosi in quattro  parti, che possiamo considerare come quattro quadri di un'unica grande  "pala".

Nella prima parte, dalla fede di Abramo, l'uomo che nella voce di Dio  "riconosce un appello profondo, iscritto da sempre nel profondo del suo  essere" (n. 11), si passa alla fede del popolo di Israele. La storia della  fede di Israele, a sua volta, è un continuo passaggio dalla "tentazione  dell'incredulità" (n. 13) e dell'adorare gli idoli, "opera delle mani  dell'uomo", alla confessione "dei benefici di Dio e al compiersi  progressivo delle sue promesse" (n. 12). Fino alla storia di Gesù,  compendio della salvezza, in cui tutte le linee della storia di Israele si  raccolgono e si concentrano.

Con Gesù possiamo dire definitivamente che "abbiamo conosciuto e  creduto all'Amore che Dio ha per noi" (1Gv 14, 16), poiché egli è  "la manifestazione piena dell'affidabilità di Dio" (n. 15). Con Lui  la fede raggiunge la sua pienezza. Essa ci invita a riconoscere che Dio non è  rimasto lontano nelle altezze del suo cielo ma si è fatto, e rimane,  incontrabile in Gesù Cristo morto e risorto, presente in mezzo a noi.

Seguendo Gesù, tutta l'esistenza dell'uomo viene trasformata grazie alla  fede. L'io, la personalità di colui che crede, aprendosi all'amore originario  che gli è offerto nella fede (cf. n. 21), si dilata e "diventa esistenza  ecclesiale" (n. 22). Aprendoci alla comunione con i fratelli e le sorelle,  la fede non ci riduce "a mero elemento di un grande ingranaggio" (n.  22) ma ci aiuta a "guadagnare fino in fondo il [nostro] proprio  essere" (n. 22). "Per chi è stato trasformato in questo modo, si apre  un nuovo modo di vedere" (n. 22), e la fede diventa una autentica  "luce" che invita a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla  chiamata di Dio.

Nella seconda parte, l'Enciclica pone con forza la questione della verità  come questione che si colloca "al centro della fede" (n. 23). La fede  riguarda perciò anche la conoscenza della realtà, è evento conoscitivo:  "senza verità, la fede non salva…resta una bella fiaba…oppure si  riduce a un bel sentimento" (n. 24).

La domanda sulla verità e l’impegno fattivo per la ricerca della verità  non possono essere eluse, così come non si può escludere a priori nella  ricerca della verità il contributo offerto dalle principali tradizioni  religiose, specie per quanto attiene alle grandi verità dell'esistenza umana.

Qual è il contributo che a questo riguardo offre la fede in Gesù Cristo? La  fede, aprendoci all'amore che viene da Dio, trasforma il nostro modo di vedere  le cose "in quanto l'amore stesso porta [in sé] una luce" (n. 26).  Anche se all'uomo moderno non sembra che la questione dell'amore abbia a che  fare con la verità - dato che l'amore è oggi relegato nella sfera dei  sentimenti - "amore e verità non si possono separare" (n. 27).

L'amore è autentico quando ci lega alla verità e la verità stessa ci  attira a sé con la forza dell'amore. "Questa scoperta dell'amore come  fonte di conoscenza, che appartiene all'esperienza originaria di ogni uomo"  ci viene testimoniata proprio "dalla concezione biblica della fede"  (n. 28) ed è una delle sottolineature più belle e importanti di questa  Enciclica.

Per il fatto che la fede attiene alla conoscenza ed è legata alla verità,  Tommaso d'Aquino può parlare di oculata fides, della fede come  evento che riguarda il "vedere" (cf. n. 30). La fede riguarda  l'ascolto ma non soltanto, poiché essa è anche un "cammino dello  sguardo" (n. 30) che cerca e riconosce la verità, un cammino nel quale  "fede e ragione si rinforzano a vicenda" (n. 32). D’altronde già  Agostino d'Ippona aveva "scoperto che tutte le cose hanno in sé una  trasparenza" e possono "riflettere la bontà di Dio, il Bene" (n.  33). La fede ci aiuta dunque ad attingere in profondità i fondamenti del reale.

In questo senso, si può comprendere a che livello la luce della fede è in  grado di "illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità"  (n. 34), vale a dire le grandi domande che sorgono nel cuore umano di fronte  alla realtà tutta, sia davanti alle sue bellezze, come di fronte ai suoi  drammi. E poiché la verità, cui ci introduce la fede, è legata all'amore e  viene dall'amore, non è una verità di cui aver paura, perché essa non si  impone con la violenza ma mira a convincere profondamente, fortiter ac  suaviter nello stesso tempo.

Ecco perché l'Enciclica non teme di affermare che "la fede allarga gli  orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude" (n.  34) sia agli studi della scienza, come alla ricerca di ogni uomo sinceramente  religioso. Proprio la fede ci rivela che chi si mette in cammino per cercare la  verità e il bene "già si avvicina a Dio" ed è "sorretto dal  suo aiuto" (n. 35) anche senza saperlo.

Non intendo riassumere la terza e la quarta parte dell’Enciclica ma vorrei  solo richiamare la vostra attenzione, nel breve tempo che mi è concesso, su  alcuni punti che, a mio avviso, sono di particolare rilievo. Anzitutto sul luogo  genetico della fede, la quale, se è evento che tocca intimamente la persona,  non rinchiude l’io in un isolato ed isolante "a-tu-per-tu" con Dio.  Essa, infatti, "nasce da un incontro che accade nella storia" (n. 38)  e "si trasmette…nella forma del contatto, da persona a persona, come una  fiamma si accende da un'altra fiamma" (n. 37).

La fede, cioè, si dà sempre all'interno di una trama di relazioni che ci  precede e ci eccede, in un "noi" che ci invita a uscire dalla  solitudine del nostro io per collocarci in un orizzonte e in un ambito sempre  più grandi, in un dialogo ed in un cammino che non hanno mai termine. La stessa  forma dialogata in cui è sorto il nostro Credo documenta questo fatto e  questo movimento che ci collocano all’interno del "noi" ecclesiale,  del nuovo soggetto cui apparteniamo attraverso la fede.

La Chiesa è il luogo in cui questo movimento della persona – che  nasce dalla fede vissuta - si radica e da cui viene rilanciato senza  sosta, aprendoci a Dio e agli altri e divenendo una nuova Weltanschauung,  una peculiare visione del mondo: essa è infatti - secondo la bella  citazione di Romano Guardini - "la portatrice storica dello sguardo  plenario di Cristo sul mondo" (n. 22).

La Chiesa è il luogo da cui la fede nasce ed in cui diventa esperienza che  si può comunicare, cioè testimoniare in modo ragionevole e perciò affidabile:  "ciò che si comunica nella Chiesa…è la luce nuova che nasce  dall'incontro con il Dio vivo" (n. 40).

È proprio questo incontro con il Dio vivente ciò che la Chiesa rende  possibile e che consente alla fede di esserne credibile testimonianza. Veicolo e  segno efficace di questo incontro "sono i Sacramenti celebrati dalla  liturgia della Chiesa" (n. 40). Perciò l'Enciclica afferma che "la  fede ha una [essenziale] struttura sacramentale" (n. 40).

Da qui si può comprendere bene la natura del movimento inerente alla fede:  essa ci muove, dal visibile e dal materiale, "verso il mistero [invisibile]  dell'eterno" (n. 40). In questo movimento, il credente viene coinvolto con  tutto se stesso nella verità che riconosce e confessa (cf. n. 45). Egli non  può allora "pronunciare con verità le parole del Credo senza  esserne per ciò stesso trasformato" (n. 45), poiché la fede sollecita un  continuo cambiamento dell'uomo impedendogli di rinchiudersi in una accomodante  tranquillità.

In secondo luogo, mi sta a cuore richiamare una citazione – presente nella  terza parte dell’Enciclica - tratta dalle Omelie di San Leone Magno:  "se la fede non è una, non è fede" (n. 47). Viviamo infatti in un  mondo che nonostante tutte le sue connessioni e globalizzazioni è frammentato e  sezionato in molti "mondi" che, sebbene in comunicazione, sono spesso  e volentieri a sé stanti e in conflitto fra loro. L'unità della fede è  perciò il bene prezioso che il Santo Padre e i suoi confratelli Vescovi sono  chiamati a testimoniare, alimentare e garantire, come primizia di un’unità  che vuole offrirsi come dono al mondo intero.

Si tratta di un'unità non monolitica, ricca e vivace di pluriformità –  Dio stesso è uno e trino – e che si pone nello stesso tempo come origine e  come missione della Chiesa, la quale per tal motivo è definita dal Concilio  Vaticano II come "segno e strumento" (LG 1) dell'unità che viene da  Dio ed è destinata a abbracciare tutto il genere umano.

È un'unità che a ragione viene definita "cattolica", poiché  fondata sulla verità, che intende servire e valorizzare. Essa ha infatti il  "potere di assimilare in sé tutto ciò che trova, nei diversi ambiti in  cui si fa presente, nelle diverse culture che incontra, tutto purificando e  portando alla sua migliore espressione" (n. 48). Questa unità, poiché è  fondata sulla verità, non ci depaupera di nulla, ma ci arricchisce dei doni che  vengono dalla generosità del cuore di Dio e di ciascuno.

Proprio tale unità nella verità, cui ci introduce Dio - che è Padre di  tutti noi - ci aiuta anche a ritrovare la radice della vera fraternità (cf. n.  53). Senza verità e senza Dio, il sogno dell'universale fratellanza, partorito  dalla modernità, non ha possibilità di realizzarsi ed è destinato a replicare  solo la triste esperienza di Babele. La fraternità, infatti, "privata del  riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non riesce a  sussistere" (n. 54). La storia degli ultimi due secoli, purtroppo, ci offre  copiosa documentazione di ciò.

Infine, un'ultima suggestione, ripresa letteralmente dal testo  dell'Enciclica, nella sua quarta parte. Se è vero che la fede autentica riempie  di gioia ed è "una dilatazione della vita" (n. 53) – ecco un  richiamo che accomuna concretamente Papa Francesco e Benedetto XVI – "la  luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo" (n. 57) ma  ci apre ad una "presenza che accompagna, [ad] una storia di bene che si  unisce ad ogni storia di sofferenza, per aprire in essa un varco di luce"  (n. 57). Solo la luce che viene da Dio - dal Dio incarnato che ha attraversato  la morte e l’ha sconfitta - è in grado di offrire una speranza affidabile di  fronte al male, di fronte ad ogni male che affligge la vita dell’uomo.

Insomma, l'Enciclica vuole riaffermare in modo nuovo che la fede in Gesù  Cristo è un bene per l'uomo ed "è un bene per tutti, è un bene  comune": "la sua luce non illumina solo l'interno della Chiesa, né  serve unicamente a costruire una città eterna nell'aldilà; essa ci aiuta ad  edificare le nostre società, in modo che camminiamo verso un futuro di  speranza" (n. 51).

Sono questi dei brevi accenni che vorrebbero soltanto invogliare alla lettura  di questo ricco documento ed invitare a gustarlo. Questa Lettera enciclica può  ben considerarsi un "documento": essa non ci offre solo parole ma ci documenta la positività dello sguardo – ed è questa la luce della fede – di una vita  che si lascia attrarre e coinvolgere totalmente da Dio. È questa d'altronde la  testimonianza per cui siamo grati sia a Papa Francesco che a Benedetto XVI, due  autentiche luci di fede e di speranza per l'uomo contemporaneo.

INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

"Chi crede, vede". In questa espressione tanto incisiva quanto  simbolica, si può racchiudere l’insegnamento di Papa Francesco in questa sua  prima enciclica. Un testo posto nell’orizzonte del binomio luce e amore.  Ciò che viene insegnato è un cammino che il Papa propone alla Chiesa per  recuperare la sua missione nel mondo di oggi. La luce è una categoria  determinante per la fede e per la vita della Chiesa. Essa ritorna con  particolare efficacia in un momento come questo, spesso di forte travaglio,  dovuto a una crisi di fede che per i problemi che comporta ha pochi precedenti  nella nostra storia. Presentando la fede, l’enciclica chiede di fissare di  nuovo lo sguardo sull’essenziale della Chiesa e di ogni credente. Questo è il  mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio che nella sua morte e risurrezione  ha rivelato l’amore nella sua pienezza e profondità. I primi due capitoli,  dalla prospettiva della riflessione teologica sono certamente tra le pagine più  originali. Qui, infatti, partendo dal presupposto che la fede nasce dall’amore,  si articola il rapporto tra conoscenza di fede e conoscenza di amore come un  binomio inscindibile; dove l’amore, comunque, ha il suo primato indiscusso. La  "luce della fede" si risolve nella "luce dell’amore" (Lf  34) e in essa trova il significato originario la verità e le vie per la sua  comprensione coerente. Rileggere la fede in rapporto all’amore, inoltre,  permette al Papa di evidenziare la natura stessa della verità a cui chi crede  si abbandona. La verità illuminata dall’amore rende sicuro il cammino del  credente nella sua ricerca di senso. Senza questa verità, invece, la critica di  credere a una "bella fiaba" o di cedere alla "proiezione dei  nostri desideri" (Lf 24) sarebbe sempre all’erta. La fede generata dall’amore  ricerca la verità e la desidera come espressione di una conoscenza più  profonda e più genuina.

Lumen fidei viene pubblicata nel bel mezzo dell’Anno della fede e, simbolicamente, porta la data del 29 giugno, festa dei santi Apostoli Pietro  e Paolo, primi testimoni della fede in questa Chiesa di Roma, dove il successore  di Pietro è chiamato al servizio e alla responsabilità di confermare i  fratelli nell’unità della fede di sempre. E’ utile sapere che in  prospettiva dell’Anno della fede si era chiesto ripetutamente a  Benedetto XVI di scrivere un’enciclica sulla fede che venisse in qualche modo  a concludere la triade che egli aveva iniziato con Deus caritas est sull’amore,  e Spe salvi sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi  a questa ulteriore fatica. L'insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e Papa  Benedetto decise che l’avrebbe scritta per offrirla a conclusione dell’Anno  della Fede. La storia ha voluto diversamente. Questa enciclica ci viene  offerta oggi da Papa Francesco con forte convinzione e come  "programma" su come continuare a vivere questa esperienza che ha visto  tutta la Chiesa impegnata per un anno intero in tante esperienze fortemente  significative. Bisogna dire, comunque, senza esitazione che Lumen fidei,  pur riprendendo alcune intuizioni e alcuni contenuti propri del magistero di  Benedetto XVI, è pienamente un testo di Papa Francesco. Qui si ritrova il suo  stile, e la peculiarità dei contenuti a cui ci ha abituato in questi primi mesi  del suo pontificato, soprattutto con le sue Omelie quotidiane. L’immediatezza  delle espressioni usate, la ricchezza delle immagini a cui fa riferimento e la  peculiarità di alcune citazioni di autori antichi e moderni fanno di questo  testo una vera introduzione al suo magistero e permettono di conoscere meglio lo  stile pastorale che lo contraddistingue. Solo come esemplificazione, una lettura  attenta di queste pagine mostrerà subito che ritornano con forza tre verbi che  Papa Francesco aveva utilizzato nella sua prima Omelia ai Cardinali il giorno  successivo della sua elezione: camminare, costruire, confessare.  Per alcuni versi, si può dire che l’enciclica si struttura su questi tre  verbi e ne specifica i contenuti.

Accogliamo, quindi, con particolare interesse questo insegnamento nell’Anno  della Fede, anche come segno peculiare e contributo proprio che Papa  Francesco intende offrire alla nuova evangelizzazione. Questo Anno, come  scrive il Papa, è un "tempo di grazia che ci sta aiutando a sentire la  grande gioia di credere, a ravvivare la percezione dell’ampiezza di orizzonti  che la fede dischiude, per confessarla nella sua unità e integrità fedeli alla  memoria del Signore" (Lf 5). Non sono dimenticate dal Papa le due  scadenze che caratterizzano questo Anno: il cinquantesimo anniversario  dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, e il ventesimo della  pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Per quanto comporta  il primo evento, Papa Francesco ribadisce che è stato "un concilio sulla  fede" (Lf 6), anche se i Padri conciliari non hanno prodotto nessun  documento esplicito in proposito. Il Vaticano II, infatti, aveva lo scopo di  riporre al centro della vita della Chiesa il primato di Dio e l’esigenza di  dirlo oggi, in una società e cultura differenti, in modo comprensibile e  credibile. Per quanto concerne il Catechismo, invece, l’enciclica ribadisce la  sua validità come strumento attraverso il quale la Chiesa compie la sua opera  di trasmissione della fede con la memoria viva dell’annuncio di Gesù Cristo.  Merita di essere sottolineato, inoltre, che proprio in questo contesto Papa  Francesco sottolinea il grande valore che possiede la Professione di fede, il Credo.  Come si sa, uno dei temi dell’Anno della fede, già indicato in Porta  fidei da Benedetto XVI, è quello di riproporre al cristiano come preghiera  quotidiana il Credo. Ciò consente di sentire la fede come un fatto vivo  ed efficace nella vita dei credenti, che spesso sperimentano un analfabetismo  ingiustificato circa i contenuti della fede. In queste pagine, viene ribadito il  profondo valore che il Credo possiede, non solo per ricordare la sintesi  della fede, ma soprattutto per far comprendere l’impegno a cambiare la vita:  "Nel Credo il credente viene invitato a entrare nel mistero che  professa e a lasciarsi trasformare da ciò che professa… si vede coinvolto  nella verità che confessa" (Lf 45). Come si nota, Papa Francesco  non lascia le questioni alla mera teoria, ma provoca a verificare la pratica, la  prassi che è indispensabile nella vita di fede per diventare testimonianza  veritiera. Questo legame gli permette di sollecitare una presenza fattiva per la  costruzione di una "città affidabile" (Lf 50), frutto dell’impegno  della fede che diventa responsabilità per la società e la natura. Chi crede,  insomma, è chiamato a vivere responsabilmente nel mondo mediante "un  servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace" (Lf 51), consapevole che "La fede non allontana dal mondo e non risulta  estranea all’impegno concreto" (ibidem)

Lumen fidei è un’enciclica con una forte connotazione pastorale.  Queste pagine saranno molto utili nell’impegno che toccherà le nostre  comunità per dare continuità al grande lavoro intrapreso con l’Anno della  fede. Papa Francesco, con la sua sensibilità di pastore, riesce a tradurre  molte questioni di carattere prettamente teologico in tematiche che possono  aiutare la riflessione e la catechesi. Per questo è importante cogliere l’invito  che giunge a conclusione dell’enciclica: "Non facciamoci rubare la  speranza" (Lf 57). Il Papa lo ha ripetuto più volte in questi mesi,  soprattutto rivolgendosi ai giovani e ai ragazzi. Scrivendolo nella sua prima  enciclica vuole indicare che nessuno dovrebbe avere paura di guardare ai grandi  ideali e di perseguirli. La fede e l’amore sono i primi a dover essere  proposti. In un periodo di debolezza culturale come il nostro un simile invito  è una provocazione e una sfida che non possono trovarci indifferenti.